NEET, un triste primato nazionale

NEET, giovani che non lavorano e non studiano, un triste primato nazionale, un’ onta per una società moderna, un fenomeno che spesso è ancora sottovalutato. Perché in fondo, i giovani non interessano. Contano di più i boomers, le loro pensioni, le loro garanzie. E certo, sono tanto più numerosi. Lo dice proprio il termine: rappresentano il periodo del baby boom italiano.

Lavoro: un percorso in salita

La partenza è difficile. I nostri giovani, cominciano a lavorare con entusiasmo, non guadagnano neppure quanto serve a fare la spesa. Si appoggiano alle famiglie che generosamente provvedono ed è incredibile quante si sacrificano in questa lunga traiettoria verso l’emancipazione. Che però non arriva.

Chi sono i Neet?

E in questa cornice, ultimi tra gli ultimi, sono i giovani che affollano numerosi la categoria dei NEET, l’acronimo NEET si riferisce all’espressione inglese “Not in Employment, Education or Training”. Chi sono? Sono ragazzi tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. Una vera emergenza. In Italia la misura del fenomeno ha raggiunto i primi posti tra gli Stati europei: I NEET in Italia hanno infatti superato i 3 milioni raggiungendo quota 3.047.000. Parliamo del 25,1% dei giovani del Bel paese. Nel corso del 2020 – 2021, con la crisi occupazionale aggravata dal Covid, il quadro è ulteriormente peggiorato.

I motivi del fenomeno. Tanti, tra tutti il più rilevante: il disallineamento tra il lavoro offerto dalle imprese e le competenze fornite dalla scuola. Ma anche le aspettative di trovare un lavoro che sia strettamente connesso alla propria formazione, specialmente se si tratta di istruzione universitaria. E poi una cultura famigliare troppo protettiva e una tradizione culturale umanistica che conduce a scelte sbagliate e produce spesso disoccupati. E tutto ciò ha esiti nefasti per il Paese e ricadute in termini di disagio psicologico e sociale oltreché economico.

Ecco i dati sui NEET

Per i paesi dell’Unione Europea raccolti da Eurostat (2020) ecco la misura del fenomeno: Italia: 25,1%, Grecia: 21%, Bulgaria: 19%, Spagna: 18,6%, Romania: 17%, Slovacchia: 15%, Ungheria: 14%, Croazia: 14%, Irlanda: 14%, Cipro: 14%, Francia: 14%, Repubblica Ceca: 13%, Polonia: 12,6%, Belgio: 12%, Lituania: 12%, Estonia: 11,9%, Lettonia: 11,8%, Portogallo: 11,2%, Finlandia: 11%, Danimarca: 10,9%, Austria: 10,8%, Malta: 10,5%, Germania: 10%, Slovenia: 9,8%. Lussemburgo: 9,2%, Svezia: 7%, Paesi Bassi: 7%

Ampliando la panoramica all’intera Europa, quindi comprendendo anche paesi che non sono parte dell’Unione Europea, risultano davanti all’Italia per un maggior numero di NEET solo 3 paesi: Turchia (33,6%), Montenegro (28,6%) e Macedonia (27,6%). Anche in Serbia la quota di Neet è elevata (20,6%). Hanno invece numeri decisamente limitati paesi come Islanda (9,2%), Norvegia (9%) Svizzera (7%).

NEET che fare?

Innanzitutto: orientare. Il primo passo deve essere fatto proprio a scuola con interventi di professionisti e imprese che forniscano un quadro completo ed esauriente delle competenze che servono aziende e dei percorsi formativi migliori in termini di ricadute occupazionali con riguardo anche alla richiesta locale e alle caratteristiche del territorio.

I provvedimenti del Governo

Il Governo a inizio 2022 è poi intervenuto con un decreto congiunto Lavoro-Politiche giovanili, che punta a ridurre gli oltre tre milioni nella fascia di età 15-34 anni che non studiano, non lavorano e non fanno formazione. L’obiettivo è ridurre l’inattività dei NEET tramite degli interventi suddivisi in tre macro fasi: emersione, ingaggio e attivazione.

Sportelli Giovani nei Centri per l’impiego

Tra gli strumenti operativi gli Sportelli Giovani in tutti i Centri per l’impiego con professionisti con competenze specifiche adatte ad accogliere i giovani NEET e a gestirne le eventuali situazioni di disagio sociale e/o psicologico. In questo modo tali figure, oltre ad accogliere i giovani, potranno indirizzarli più efficacemente verso le risorse locali più adatte alla loro situazione e potranno fare rete con gli enti pubblici e privati della formazione, con i servizi sociali e con il tessuto produttivo del territorio per far emergere ulteriormente il fenomeno NEET e avviare i giovani in percorsi di formazione o inserimento lavorativo.

GIOVANI2030 (G2030) è la piattaforma online nata con l’obiettivo di diventare il punto unico di accesso per i giovani dai 14 ai 35 anni, a tutte le informazioni utili per orientare le scelte del proprio futuro nell’ambito della formazione, del volontariato, del lavoro, delle iniziative internazionali e culturali, su tutto il territorio nazionale.

ITS – cosa sono e a cosa servono

Pare una novità, istituiti di recente o quantomeno dotati di recente di una loro dignità formativa e sociale gli ITS sono scuole post diploma che hanno lo scopo di formare i giovani in ambiti salienti per lo sviluppo della società. Costituiscono il segmento di formazione terziaria non universitaria che risponde alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche per promuovere i processi di innovazione. Sono espressione di una strategia nuova fondata sulla connessione delle politiche d’istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali, con l’obiettivo di sostenere gli interventi destinati ai settori produttivi con particolare riferimento ai fabbisogni di innovazione e di trasferimento tecnologico delle piccole e medie imprese. Le sei are tecnologiche interessate: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile,  Nuove tecnologie della vita, Nuove tecnologie per il Made in Italy (Sistema agroalimentare, Sistema casa, Sistema meccanica, Sistema moda, Servizi alle imprese), Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali –Turismo, Tecnologie della informazione e della comunicazione.

E’ prevista una formazione operativa che per il 40% dell’orario si svolga in azienda a diretto contatto con maestranze aziendali, per realizzare in anteprima un’esperienza diretta nel mondo del lavoro e costruire un solido legame tra studente e mondo produttivo.

E dunque avanti l’educazione è il primo passo, poi si proceda anche con gli altri. Altrimenti oltra a diventare una società di arzilli vecchietti diventeremo anche un paese povero.